La recensione de “La Grande Bellezza” del nostro Socio Cornelio Cerato

Nello straordinario film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino ho riprovato, finalmente, lo stesso incanto che provai, a suo tempo, per la atmosfera che il grande Fellini seppe creare con il suo “La dolce vita”. Fellini sapeva far “sentire” allo spettatore le sue emozioni ed il suo modo di captare le atmosfere e il vedere la vita scorrere intorno a lui. L’ omaggio di Sorrentino è evidente, sia nella struttura a flash del film, sia nell’ accuratezza della regia. “La grande bellezza” ripropone la stessa Roma di Fellini, ancor più immobile e indifferente alle umane vicende. Una Roma a tratti solitaria, deserta di automobili quasi come una visione fantastica.

Questa Roma, alla quale ci aveva abituati Fellini, accetta tutto, non ti fa domande, non ti giudica : noi siamo solo di passaggio, lei resterà ancora, intatta nella sua assoluta bellezza. Talmente corrotta nei secoli da non essere più corruttibile.

Le nostre vicessitudini, le feste, gli amori e le morti scivolano nelle sue strade, nelle sue antiche dimore e vengono spazzate vie dal Ponentino. In alcune scene l’ omaggio al grande Fellini è completo : l’ incapacità del protagonista, Jep, di uscire dal suo personaggio di “Re” della mondanità per tornare alle sue radici autentiche di scrittore ci rimanda al Marcello del 1960, insofferente al suo mestiere di giornalista mondano che vorrebbe come unico e profondo desiderio, scrivere un romanzo che ha in testa da tempo. Ma il tempo scorre e la trama del romanzo comincia a dissolversi, Marcello si ritrova incapace di affrontare questa sfida perchè ormai si è adagiato in questa sua condizione di giornalista da strapazzo, oggi diremmo da “gossipparo”.

La cosa che più mi ha colpito ne “La grande bellezza” è questa atmosfera di morte costante: una morte fisica nella bellissima scena del funerale e nella scena in cui si rivela anche la morte di Ramona, una straordinaria Sabrina Ferilli, che nei suoi ultimi giorni si era molto legata a Jep.
L’ altra morte è invece intesa come una “non-vita” che aleggia costantemente nella serate squallide dei protagonisti, dove l’ unico momento di vitalità sono i feroci attacchi portati dai conversatori alle proprie vite, costellate di tradimenti e di assoluta mancanza di morale. Privi di scopo e di sentimenti veri, gli “amici” di Gep sono ormai svuotati di ogni credo, la loro ricchezza li preserva dal contatto con il mondo reale di chi lavora e si sveglia presto al mattino. La stessa varia umanità della Roma di fellini, ancor più cinica, se possibile, ma ancora più distaccata dalla realtà del mondo.

Si veda, come culmine di questa piramide umana in disfacimento, la figura apparentemente ieratica del Cardinale : non appena egli parla intuiamo la sua pochezza, la sua mancanza di fede vera di cui avremo poi la conferma nelle scene ultime con la Suora “Santa”. Il Cardinale interpellato da Jep in un suo momento di crisi spirituale, rifugge la domanda ed immediatamente si allontana. In “8 e 1/2” di Fellini, in una scena simile, il Cardinale di fronte all’ identica domanda di Marcello/Guido si rifugia in una risposta dove cita una frase in latino sulla universalità della chiesa per chiudere la conversazione. Il Cardinale di Sorrentino parla delle sue noiose ricette, cercando di catturare l’ attenzione di Gep e dei suoi amici, ma viene sempre interrotto da qualcuno… la sua figura è ormai fuori dal tempo.

Scena bellissima, sempre citando Fellini, la breve visita notturna che Jep e Ramona fanno ad una casa di nobili romani, accompagnati da un giovane amico che li introduce ad antiche bellezze, illuminate da una fioca luce di candelabro acceso. Essi sfiorano antichi dipinti e sculture, che si rivelano a tratti… quasi dei fantasmi di un passato fastoso. E poi, straordinario, l’ incontro con le tre Principesse romane che giocano a carte in una sala dello splendido palazzo poco illuminata… è quasi imbarazzante, nella sua tragicità da museo delle cere. La dove c’era vita, lo spettacolo ormai è desolante : tutto è stato spazzato via dal nostro tempo ignobile, in cui più nessuno degli antichi valori ha ancora un senso, come dimostrano anche i Nobili presi a “noleggio” per la cena con la Suora Santa. Nelle scene delle feste si coglie un omaggio anche al “Satyricon” di Fellini, nella ricerca di atmosfera e di colori sgargianti, dove sfolgoranti e giovani bellezze si accompagnano a donne vissute e ormai devastate, vip e comparse, tutti insieme alla ricerca di un momento in cui non pensare, un evasione momentanea dallo squallore delle loro vite inutili, in cui l’ uso della cocaina aiuta a “staccare” la realtà… Anche in questi momenti, nel “clou” della festa, il nostro Jep ha degli attimi di assoluto distacco, colti dal regista in modo impeccabile. Il protagonista si “scollega” interiormente dalla festa, si allontana dal resto del carnaio vociante per ripiombare nella sua solitudine intellettuale. Momenti di autentica bellezza cine-fotografica sono le brevi passeggiate di Jep, sovente in una Roma appena albeggiante e deserta.

Il tema dell’alba livida, tanto caro a Fellini, viene quì ripreso e vissuto dal protagonista come momento liberatorio dalla notte disperata appena trascorsa. Altra scena memorabile, pur nella sua trasformazione surreale, quasi da girone infernale, è lo studio del chirurgo estetico : le luci psichedeliche e il suono terribile del contatore degli umani in attesa sono materiale da incubo ad occhi aperti…persino una Suorina attende il suo turno in questo girone di dannati del botulino. Il finale è davvero fantastico : l’arrivo a casa di Jep della Suora Santa, accompagnata dal Cardinale per una cena informale, prende inaspettatamente una direzione che sarà per Jep fondamentale. All’ inizio la Santa quasi non parla, e la sua presenza è vissuta da Gep con cinica indifferenza, poi invece, dopo aver ascoltato alcune frasi della suora, egli comincia a percepire che questa non è la solita “sola”, come dicono a Roma. L’ incontro ravvicinato con la Santità effettiva della religiosa, porta il protagonista ad una sorta di conversione, non tanto sul piano religioso, ma nel profondo della sua anima sensibile. Quando finalmente riesce ad avere un dialogo pur breve, a tu per tu con la Suora, egli ne rimane profondamente colpito : la Santa ha letto tanti anni prima il suo libro, e ne era rimasta colpita, la domanda che gli rivolge è la stessa che Gep si pone da sempre : perchè non ha continuato a scrivere ? Questo breve dialogo avviene in una straordinaria cornice : la suorina è sullo splendido balcone romano di Gep, con vista Colosseo, sono le prime luci del mattino e il balcone è letteralmente invaso da bellissimi fenicotteri, tranquilli e silenziosi si sono disposti tutti intorno alla Santa… Gep è senza parole alla visione di questo evento quasi miracoloso. La scena finisce son Suor Maria, questo è il nome della suorina Santa, che dice a Gep : “ Lo sa perchè io da anni mangio solo radici ? Perchè le radici sono fondamentali, importantissime…”

Ed ecco che nel finale del film finalmente affiora la speranza: vediamo Jep tornare all’ isola della sua infanzia, dove egli rivive per un attimo il momento in cui, tanti anni prima ancora diciottenne, visse una bellissima e breve storia d’amore…la sua voce fuori campo da il via alla sua redenzione finale: sentiamo recitare da Jep un bellissimo passo introduttivo di quello che sarà il suo libro, e quindi ritrova lo stimolo intellettuale giusto per ricominciare, ritrova in questo modo, dentro di se “La grande bellezza”.

Questo finale ci ricorda il Sorrentino di “This must be the place” dove il protagonista Sean Penn ritrova anch’egli la sua anima perduta e ha una trasformazione addirittura fisica, uscendo dal personaggio di Rock Star triste e depressa… Il finale è quindi assolutorio, a differenza della “Dolce vita” di Fellini dove invece Marcello nel finale tragico del film non riesce più ad accettare una possibile redenzione, la sua anima è ormai corrotta e perduta… nell’ ultima scena Marcello ha un dialogo muto, fatto di gesti, con la cameriera del bar sulla spiaggia, che rappresenta una visione di purezza, la quale lo invita ad avvicinarsi, ma egli preferisce allontanarsi da lei e ritorna con il suo gruppo di debosciati verso la casa all’ interno del boschetto di Ostia. Sorrentino ha spalmato una sensazione di morte in tutto il suo film, ma alla fine in un raggio di luce ha lasciato spazio alla vita che risorge. Fellini ha riempito di vita il suo capolavoro, ma alla fine il senso di una sconfitta dell’intelletto è prevalso, togliendo così ogni forma di speranza, andando in questo modo a cozzare con il concetto cattolico di perdono e di resurrezione.


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